NEL GHETTO

2 months ago
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Nell’anno 2020 scrivevo (https://nereovillaopere.wordpress.com/2020/09/28/in-the-ghetto-significa/): oggi (settembre 2020) basta solo una persona che cerchi la verità per finire nel ghetto o per correre rischi di “censure”, o peggio. Se parli con qualcuno di ipercapnia ti danno del negazionista dicendoti che il vaiolo fu sconfitto coi vaccini. Eppure, fino a prova contraria, il virus del vaiolo rimase “in vita” solo grazie alla “preziosa” attività di particolari laboratori di “ricerca”.
La scienza è diventata davvero molto rischiosa per l’intero genere umano e forse non aveva tutti i torti il “visionario” Friedrich Nietzsche, scrivendo che: “Fine ultimo della scienza è la distruzione del mondo”. Non riesco davvero a non pensare che per il nostro domani siano molto più pericolosi gli “apprendisti stregoni” di cui si parla oggi: “scienziati” che giocano letteralmente col fuoco e alla cieca, più dei “terroristi islamici” , con il loro orgoglio religioso e nazionale, che basterebbe soltanto saper/voler rispettare...
Dall’epurazione della Magistratura si dovrà, prima o poi, arrivare a quella delle Università, dove, dal 1945 sono stati esponenzialmente immessi fior di scalmanati. Cos’altro prospera in quegli ambienti se non la mafia delle “onorevoli” schiere rothschildiane ottocentesche e novecentesche? La corruzione di intere generazioni è fatta studiare a tavolino dalle scuole dell’obbligo di Stato come cosa buona e giusta, il giusto compromesso storico tra spazio e tempo e tra virioni e fotoni. Sarebbe ora di finirla.
Alcune ragioni morali e molte ragioni economiche rendevano improbabile la ricerca di un batterio o di un virus più virulento di quelli esistenti in natura. Eppure quelle ragioni risultarono irrilevanti quando l’oggetto eventuale della ricerca si presentò da sé, casuale e inquietante, dicendo che sono ineludibili tanto lo sviluppo scientifico-tecnologico quanto la necessità di governarlo. C’è qualcosa di letale per caso? Nelle gabbiette, tutti i topi erano morti stecchiti. Davanti alle gabbiette erano sbigottiti dallo stupore i ricercatori australiani, che pochi giorni prima avevano praticato alle bestiole iniezioni di un promettente - avevano creduto - vaccino contraccettivo. La teoria era che, controllando - IN NOME DEL PRETE MALTHUS (Thomas Robert Malthus era un pastore protestante inglese, economista e demografo, noto principalmente per il suo "Saggio sul principio della popolazione": pubblicato nel 1798, il saggio sosteneva che la popolazione umana tende a crescere più rapidamente delle risorse disponibili, portando a povertà e sofferenza) - la proliferazione dei roditori, si sarebbero limitati i guasti che producono. Allo stupore, nei ricercatori del Pest Animal Control Centre, appoggiato all’Australian National University di Canberra, subentrarono curiosità e allarme.
Quando non s’incontra quello che si ricerca, bisogna insistere no? Le sorprese spiacevoli della biotecnologia non si fecero attendere...
La sete di conoscenza è la prima virtù dello scienziato ma cosa diavolo era successo? E pure il senso di responsabilità è (o dovrebbe essere) altrettanto pronto: qualcosa ci sta sfuggendo di mano? Ricostruita un’idea plausibile dell’accaduto, Ronald Jackson e Ian Ramshaw pensarono di non poter tenere la cosa per sé, né di divulgarla a cuor leggero. Si consultarono col... Dipartimento della difesa del loro Paese. Perché si erano trovati davanti la ricetta, relativamente semplice da applicare in un buon laboratorio, dei possibili virus letali a piacimento per qualsiasi specie vivente, uomo compreso.
Non fu facile far capire la cosa ai militari, perché si trattava di una faccenda complessa per chiunque non fosse stato del mestiere.
SU QUEL CASO CONVIENE A TUTTI APRIRE BENE GLI OCCHI E GLI ORECCHI: per la prima volta accadde quello che si temeva: la biotecnologia aveva partorito una sgradevole sorpresa (a dir poco).
La prossima volta potrebbe essere una catastrofe. Cioè “morire come topi”: da banale modo di dire a fedele descrizione, o inquietante prospettiva di… Stato.
Alla fine i biologi di Canberra, con l’accordo dei responsabili della sicurezza nazionale, decisero di pubblicare i risultati delle loro ricerche e lo fecero, consapevoli della possibilità che terroristi di qualsiasi genere se ne appropriassero per scopi criminali, proprio per “avvisare la popolazione del fatto che questa tecnologia potenzialmente pericolosa è oggi a portata di mano” diceva Jackson, rivolgendo un appello esplicito ai colleghi di tutto il mondo: “Vogliamo rendere chiaro alla comunità scientifica che occorre essere prudenti, perché non è troppo difficile creare mostri in laboratorio”.
Questo è il punto. SI PASSÒ DAL DUBBIO DI UNA RICERCA SENZA RISULTATI ALLA CERTEZZA DI UN RISULTATO SENZA RICERCA.
Pochi anni fa la rivista britannica “New Scientist” aveva chiesto ad autorevoli biotecnologi se ritenessero possibile produrre con l’ingegneria genetica un batterio o un virus più virulento di quelli esistenti in natura.
La risposta era stata un no deciso. Ma non per motivi etici: gli addetti ai lavori consideravano la cosa, se non impossibile, sicuramente molto difficile. Il colossale sforzo di ricerca, CON L’INGENTE FINANZIAMENTO KEYNESIANO NECESSARIO appariva poco proporzionato ai presumibili interessi legati a un simile progetto.
Il gruppetto di Canberra, invece, ci arrivò per caso, cercando tutt’altro: si trovò il risultato tra le mani senza nessuna fatica o spesa. Silenzio assordante degli addetti ai lavori. Ma occorreva che l’opinione pubblica comprendesse. La comunità scientifica non sembrava dar segno di volersi svegliare dalle proprie illusioni di falsa sicurezza. Preferiva chiudere gli occhi davanti alle incertezze, per paura che si producesse una reazione di rigetto, soprattutto in un momento di confusione tra prioni, allevatori impoveriti e uranio impazzito [arricchito!]. Col rischio, o l’elevata probabilità di un brusco tracollo per l’intero settore alla prima notizia di un incidente serio.
Senz’altro comprensibile l’assenza di emozioni o preoccupazioni del pubblico generico di fronte alla notizia che “l’espressione di interleuchina-4 di topo da parte di un ectromelia virus ricombinante sopprimesse la risposta citolitica dei linfociti e sopraffacesse la resistenza genetica al mousepox…
Senza scandalismi e allarmismi - e senza “ismi” in generale - era venuto il tempo di riflettere pacatamente sulla biologia molecolare. Per cogliere gli straordinari vantaggi che poteva offrire all’umanità. PER NON DIVENTARNE VITTIME DELLA SOVRAPPOPOLAZIONE DEL PIANETA PAVENTATA DA MALTHUS!
Sul quel virus casuale australiano c’era qualche notizia, molte domande e poche risposte.
I ricercatori di Canberra volevano mettere un freno alla prolificità delle topine con un vaccino che stimolasse la produzione di anticorpi contro l’ovocita. In un virus della famiglia pox - la stessa del vaiolo umano e di molte malattie di altre specie animali - introducevano i geni di alcune proteine dell’ovocita.
Il virus, del tutto innocuo per il ceppo di topi in cui doveva essere iniettato, avrebbe dovuto ingannare il sistema immunitario, inducendolo a colpire anche le cellule uovo e impedire così la fecondazione. Però il vaccino risultava blando, per cui i ricercatori cercarono il modo di rinforzarne l’azione, provando a inserire anche i geni di varie interleuchine, i messaggeri chimici che dirigono l’orchestra dell’immunità.
Sin qui, nulla di speciale. Sono manipolazioni che si fanno tutti i giorni in decine di laboratori nel mondo. Buona parte dei numerosi e promettenti tentativi in corso di produrre vaccini contro il cancro usano tecnologie di questo genere. All’istituto dei tumori di Milano, per fare un esempio italiota, si provava a inserire geni di varie interleuchine, insieme a quelli di proteine del tumore, in virus delle comuni infezioni respiratorie.
Però a Canberra, nella linea di virus cui era stato aggiunto il gene dell’linterleuchina-4 (IL-4 in sigla), avvenne qualcosa di inatteso. Forse il vaccino avrebbe anche stimolato gli anticorpi, come previsto, ma non ne aveva il tempo, perché contemporaneamente veniva messo in ginocchio l’intero apparato cellulare delle difese, e l’animale soccombeva in pochi giorni, falciato da una malattia terribile quanto il peggiore vaiolo nero che affliggeva l’umanità sino a pochi anni prima.
Il riferimento al vaiolo non è casuale e poiché appartiene alla stessa famiglia dei poxvirus, non è difficile immaginare di ottenere lo stesso risultato inserendovi il gene dell’IL-4 umana. “Avendo visto coi miei occhi cosa tocca ai topi, non vorrei essere io a fare l’esperimento” disse Jackson. Ma non era questo il punto.
Da quando nel 1979 l’OMS dichiarò estinto il vaiolo, e quindi in tutti i Paesi si è smise di vaccinare bambini, il virus viene conservato ufficialmente solo in due laboratori di altissima sicurezza: lo statunitense CDC, ad Atlanta e il russo Vector, a Novosibirsk in Siberia. E anche questi due stock avrebbero dovuto essere distrutti entro il 2002. In realtà, secondo rapporti della CIA, in teoria segreti ma ampiamente circolanti tra i biologi, il virus era posseduto anche da Cina, India, Pakistan, Israele, Corea del nord, Iraq, Iran, Cuba, Serbia e forse altri paesi ancora. La lista avrebbe potuto comprendere organizzazioni terroriste, per esempio quella della setta giapponese Aum, nota per l’attentato con gas nervino nella metropolitana di Tokio.
Non a caso le autorità sanitarie e militari statunitensi cominciarono ad essere ossessionate dal rischio del vaiolo come arma, e cercavano di mettere in piedi in tutta fretta la produzione di dosi di vaccino sufficienti per coprire almeno la loro popolazione, in caso di attacco. Normale no?
Si faceva perfino osservare ciò che avrebbe provocato la diffusione di due cucchiaini di un aerosol del vaiolo anche in un solo aeroporto del mondo: in ondate successive con intervalli di 14 giorni (la durata dell’incubazione) la malata si sarebbe fatta largo senza incontrare resistenza in una popolazione mondiale totalmente priva di immunità, facendo strage in ogni punto del globo. Molto peggio della bomba all’idrogeno. E ciò sarebbe stato un efficace disincentivo, perché nessuno ne sarebbe stato al riparo. Ma chi se ne frega? Se c’è il vaccino, dov’è il problema?
Si ripropose l’incidente australiano. I ricercatori rifecero la prova iniettando virus manipolati in animali vaccinati ed ebbero la seconda brutta sorpresa: in quel modo si riusciva a salvare solo la metà dei topolini. In altre parole, la maledetta IL-4 metteva fuori gioco anche l’arma difensiva del vaccino.
Il virus uscito dalle provette australiane era forse troppo cattivo per poter sopravvivere alla selezione naturale. I focolai di infezione da virus Ebola, uno dei più implacabili killer inventati dalla “natura”, si estinguono da soli, proprio per l’eccessiva virulenza iniziale. Per gli ottimisti questo fu ed è un motivo di rassicurazione.
Era comunque necessario chiedersi che cosa fare per evitare brutte sorprese future. Si pensò a organismi di vigilanza con potere di interrompere le ricerche pericolose e vietarne la pubblicazione. Era una forma di censura difficile da attuare, che avrebbe potuto rivelarsi un rimedio peggiore del male: i segreti erano sistematicamente più permeabili proprio ai peggio intenzionati, mentre col pubblico all’oscuro di tutto sarebbero mancati il contesto, il fondamento e il senso di qualsiasi controllo.
Una proposta più concreta fu il suggerimento di manipolare solo virus privati della capacità di moltiplicarsi: come vaccini erano meno efficaci ma sicuramente molto più sicuri. Vuoi mettere?
Probabilmente erano maturi i tempi perché sull’ingegneria dei virus si stabilissero precise norme di sicurezza, un codice di regole come quello che nel 1975 ad Asilomar, in California, fu posto per gli esperimenti di ingegneria genetica, allora agli albori.

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