Virus, AIDS e bipensiero orwelliano

Più di 40 anni sono passati dalla comparsa dell’AIDS. La malattia, soprattutto nei paesi più ricchi, è diventata negli ultimi anni sempre più curabile, ma ciò non ha eliminato la stigmatizzazione sociale dei sieropositivi. Lo rivela l’ultimo studio pubblicato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), che denuncia le discriminazioni che devono ancora subire i malati di AIDS in tutto il mondo.

Il rapporto fa riferimento a un sondaggio realizzato da Gallup, che ha intervistato più di 55.000 persone in 50 paesi. Ne emerge che circa il 40% degli interpellati si dice favorevole a segregare i sieropositivi sul lavoro. Inoltre, ben 6 persone su 10 renderebbero obbligatorio il test dell’HIV prima di autorizzare una qualunque assunzione. Dati che preoccupano l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che parla senza mezzi termini di “atteggiamenti discriminatori”. Secondo il rapporto, infatti, “lo stigma emargina le persone sieropositive, spingendole verso la povertà e minando l’obiettivo del lavoro dignitoso”.

Lo studio è dunque in perfetta linea con la narrazione predominante negli anni ’90 del secolo scorso, quando dalle istituzioni arrivavano forti segnali contro la discriminazione dei sieropositivi. Una politica che si è completamente ribaltata con l’arrivo del SARS-CoV-2. Le misure restrittive messe in atto per combattere il Covid sono infatti apertamente discriminatorie non solo verso i positivi, ma verso chiunque non sia in grado di dimostrare la propria negatività.

In realtà, quindi, l’atteggiamento segregazionista condannato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro per quanto riguarda l’AIDS è esattamente lo stesso che sta alla base delle politiche messe in atto negli ultimi mesi dai Governi di mezzo mondo. Evidentemente, ciò che è lecito dire per un virus non è lecito dirlo per un’altro. Se si tratta di AIDS, guai a discriminare i sieropositivi. Se invece si tratta di Covid, si può perfino negare il diritto al lavoro.

Risulta in qualche modo paradossale che il rapporto dell’agenzia dell’ONU si spinga fino al punto di chiedere l’abolizione dell’obbligatorietà dei test per l’HIV. Dichiarazioni fra l’anacronistico e il surreale, soprattutto tenendo in considerazione il contesto attuale, in cui spesso è necessario un tampone negativo anche per prendere treni e autobus.

È come se le pagine di questo rapporto riuscissero ad astrarsi totalmente da quanto sta succedendo nel mondo, riportandoci a un tempo in cui non discriminare un settore della popolazione era ancora considerata cosa buona e giusta. Oggi che invece lo stigma è tornato prepotentemente di moda e la caccia alle streghe è ormai una realtà quotidiana, lo studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro non può che candidarsi a pieno titolo tra i capolavori del bipensiero orwelliano.

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